La Sclerosi Multipla (SM) è una patologia infiammatoria cronica, demielinizzante e degenerativa del Sistema Nervoso Centrale (SNC), acquisita e multifocale, a verosimile patogenesi autoimmune.
È la prima causa di invalidità non traumatica nel giovane adulto. La prevalenza della SM è di circa 125.500 persone con una diffusione doppia nelle donne rispetto agli uomini.
L’eziologia della SM è, ancora ad oggi, ignota, sebbene l’ipotesi più accreditata è che si tratti di una malattia autoimmune, scatenata da fattori eziologici ancora sconosciuti, in individui geneticamente predisposti esposti a particolari fattori ambientali.
La SM è considerata una malattia autoimmune mediata principalmente dai linfociti T attivati, con evidenze sempre maggiori di un significativo contributo da parte dei linfociti B. Il danno immunitario è guidato dall’attivazione periferica dei linfociti T autoreattivi contro antigeni ‘’self’’ del SNC come la mielina. La SM rappresenta una malattia imprevedibile, sia per decorso clinico sia per prognosi, ed è caratterizzata da un corredo sintomatologico altamente eterogeneo in quanto la molteplicità dei sintomi neurologici varia in relazione alla diversa localizzazione delle aree di demielinizzazione. Il decorso della malattia può essere assai variabile, generalmente l’esordio avviene intorno ai 25-35 anni ed è mono o polisintomatico.
Nonostante l’imprevedibilità dell’andamento clinico, è possibile identificare alcune principali forme cliniche, e tra le più frequenti sono la Recidivante-Remittente (SM-RR), caratterizzata da attacchi clinici acuti seguiti da una remissione totale o parziale della sintomatologia, con una stabilità clinica durante i periodi intercritici, e la Secondariamente Progressiva (SM-SP), caratterizzata da una continua progressione della malattia, cioè da un lento peggioramento dei sintomi clinici e della disabilità, con o senza riacutizzazioni, dopo una fase iniziale di SM-RR. Tale transizione è difficile da definire e spesso la si riconosce solo a seguito di un’analisi retrospettiva che comporta anche 3-4 anni di ritardo diagnostico e relativo accumulo di disabilità. Le terapie ad oggi a disposizione sono numerose ed è auspicabile l’individuazione di fattori predittivi di risposta ai singoli trattamenti in modo da individualizzare il più possibile la strategia di trattamento e ottimizzare le probabilità di riduzione della disabilità a lungo termine. Gli unmet need nella diagnosi e nella gestione della malattia sono ancora numerosi.
La ricerca scientifica è attivamente orientata all’individuazione di biomarcatori clinici, radiologici e neurofisiologici in grado di identificare precocemente la transizione verso forme progressive di malattia nonché i pazienti a maggior rischio di disabilità a lungo termine.
Le strategie terapeutiche potrebbero di fatto essere variate con l’uso di un approccio induttivo vs. escalation in funzione della presenza di predittori prognostici sfavorevoli. Infine, l’introduzione nella pratica clinica di farmaci sempre più efficaci nel modificare il decorso di malattia comporta la necessità di controllare e prevenire la comparsa di eventi avversi connessi al meccanismo di azione dei farmaci.